Ricorso della regione Lombardia, in persona del presidente pro- tempore della giunta regionale, ing. Giuseppe Giovenzana, a cio' autorizzato con delibera di giunta n. 8068 del 23 aprile 1991, rappresentato e difeso, giusta mandato a margine del presente atto, dagli avvocati prof. Umberto Pototschnig di Milano e Vitaliano Lorenzoni di Roma, e presso quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via Alessandria n. 130, per conflitto di attribuzioni nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, a seguito e per effetto degli artt. 15 e 16 del decreto del Ministro dell'industria, commercio e artigianato 21 dicembre 1991, n. 452, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 54 del 5 aprile 1991, intitolato "Regolamento recante norme di attuazione della legge 3 febbraio 1989, n. 39, sulla disciplina degli agenti di affari in mediazione". A seguito della legge 3 febbraio 1989, n. 39, intitolata "Modifiche ed integrazioni alla legge 21 marzo 1958, n. 253, concernente la disciplina della professione di mediatore", il Ministro dell'industria, commercio e artigianato ha emanato, con quasi due anni di ritardo rispetto al termine fissato dall'art. 11, le norme regolamentari e di attuazione della legge medesima, di cui al decreto ministeriale 21 dicembre 1990, n. 452. In tale regolamento risultano contenute, oltre alle norme concernenti l'organizzazione professionale degli agenti d'affari, anche talune disposizioni rela- tive alla formazione professionale degli appartenenti alla categoria. Si tratta degli artt. 15 e 16 del decreto, che cosi' dispongono: (art. 15) "I corsi preparatori di cui all'art. 2, terzo comma, lett. e), della legge, sono istituiti dalle regioni o, previo riconoscimento di queste, dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura o da soggetti di cui all'art. 5 della legge 21 dicembre 1978, n. 845. Tali corsi devono essere organizzati almeno ogni semestre e devono prevedere un numero minimo di ottanta ore di insegnamento da svolgersi al massimo in un semestre. Il piano di studi deve obbligatoriamente contenere le materie oggetto delle prove d'esame"; (art. 16) "La commissione esaminatrice, nominata per ciascun corso dal presidente della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura e' presieduta da un membro della giunta camerale ed e' composta dal segretario generale o suo delegato e da tre docenti di scuola secondaria di secondo grado delle materie oggetto della prova d'esame e da due agenti scelti fra i membri effettivi della commissione di cui all'art. 6. Le funzioni di segretario della commissione sono esercitate da un funzionario della camera di commercio, di qualifica non inferiore alla settima". Ad avviso della regione ricorrente, queste disposizioni appaiono manifestamente illegittime, perche' ingiustificatamente invasive della competenza regionale. Esse vengono dunque impugnate col presente atto per i seguenti motivi di D I R I T T O Violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, anche in relazione agli artt. 35 e 36 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. La regione Lombardia ha potesta' legislativa concorrente in materia di istruzione artigiana e professionale, ai sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione. La materia ricomprende tutte le funzioni concernenti i servizi e le attivita' destinate alla formazione, al perfezionamento, alla riqualificazione e all'orientamento professionale, per qualsiasi finalita', compresa la formazione continua, permanente, ricorrente e quella conseguente a riconversione di attivita' produttive, ad esclusione di quelle dirette al conseguimento di un titolo di studio o diploma di istruzione secondaria superiore, universitaria o post-universitaria. Ricomprende altresi' "la vigilanza sull'attivita' privata di istruzione artigiana e professionale" (art. 35 del d.P.R. n. 616/1977), come pure tutte le attivita' caratterizzate dalle specificazioni ulteriori fornite dal successivo art. 36. Orbene, cio' premesso, va subito chiarito che i corsi preparatori disciplinati dall'art. 15 del decreto ministeriale qui impugnato e che vanno obbligatoriamente frequentati per almeno due anni da chi voglia accedere all'esame diretto ad accertare la sua attitudine e capacita' professionale in relazione al ramo di mediazione prescelto, sono da considerarsi a tutti gli effetti corsi od attivita' di formazione professionale. Lo si deduce dall'esplicito richiamo ai soggetti gestori previsto dall'art. 5 della legge 21 dicembre 1978, n. 845. Pertanto anche in questo settore degli agenti di mediazione la legge quadro sulla formazione professionale affida specificamente alle regioni "la programmazione, l'attuazione e il finanziamento" delle attivita' (art. 4, lett. a)), precisando anzi che le regioni devono predisporre, in conformita' a quanto previsto dai programmi regionali di sviluppo, "programmi pluriennali e piani annuali di attuazione" (art. 5), allo scopo di assicurare in particolare "la coerenza delle iniziative di formazione professionale con le prospettive dell'impiego nel quadro degli obiettivi della programmazione economica nazionale, regionale e comprensoriale" (art. 3, lett. b)). Ora l'art. 15 del decreto impugnato non rispetta questo disegno, ma al contrario lo viola, stabilendo una volta per tutte e con un decreto ministeriale rigido: a) che i corsi devono venire organizzati almeno ogni semestre, a prescindere da ogni programmazione e raccordo con i restanti obiettivi della legge; b) che ogni corso deve prevedere un numero minimo di ottanta ore di insegnamento, mentre la legge quadro, all'art. 8, secondo comma, riserva alle regioni di determinare la durata dei corsi, stabilendo solo un limite massimo (non piu' di quattro cicli, ciascuno di non piu' di seicento ore); c) che le ore di insegnamento di ciascun corso devono svolgersi al massimo in un semestre, escludendo cosi' qualunque corso che per la sua specificita' e complessita' richiedesse una durata maggiore; d) che il piano di studi deve contenere obbligatoriamente le materie oggetto delle prove d'esame: il che sembrerebbe anche accettabile come un richiamo delle regioni a un criterio di coerenza interna, mentre in realta' viene ad avocare nelle mani del Ministro ogni determinazione sul piano degli studi, avendo egli il potere di stabilire le materie e le modalita' dell'esame ((*art. 2, terzo comma, lett. e), della legge n. 39/1989); amputando cosi' le regioni di ogni possibilita' di stabilire gli indirizzi della programmazione didattica delle attivita' di formazione professionale (art. 7 della legge quadro). Sta a se' infine, per quanto concerne l'art. 15, l'inciso relativo alle camere di commercio, che il Ministro ha voluto menzionare espressamente come possibile gestore di attivita' formative per gli agenti di mediazione, andando tuttavia al di la' di quanto previsto dall'art. 5 della legge quadro che, accanto alle strutture pubbliche preposte istituzionalmente a compiti analoghi, ammette altri enti solo in quanto dotati di determinati requisiti, lasciandone la scelta a ciascuna regione. Disposizioni come quelle ora richiamate sono invasive alla competenza regionale. Lo ha gia' riconosciuto esplicitamente questa ecc.ma Corte costituzionale, di cui si ricordano qui, per brevita', due sole sentenze tra le piu' recenti: la n. 696/1988 e la n. 372/1989. La prima, relativa a un conflitto di attribuzioni concernente un decreto ministeriale analogo a quello qui impugnato e riguardante la formazione professionale degli agenti e rappresentanti di commercio, ha riconosciuto lesive della competenza regionale norme del tutto analoghe, affermando che "nella materia di cui trattasi spetta alla regione con piena autonomia" sia la organizzazione diretta dei corsi, sia la utilizzazione degli enti elencati nell'art. 3 del decreto del Ministro. Altrettanto ha fatto la sentenza n. 372/1989, ravvisando nella disciplina relativa alla formazione delle guide alpine una indebita compressione del ruolo riservato alle regioni e ricordando che la giurisprudenza di questa ecc.ma Corte non ha mancato di sottolineare come, in materia di istruzione professionale, la definizione dei programmi e l'organizzazione dei corsi spetti alla sfera delle attribuzioni regionali, salva la presenza di possibili forme di coordinamento e controllo centrale diretti a garantire standars minimi quantitativi e qualitativi. Non meno evidenti sono i vizi che inficiano l'art. 16 del decreto qui impugnato, nella parte in cui affida al presidente della camera di commercio la nomina della commissione esaminatrice di ciascun corso e in cui determina esso stesso la composizione di queste commissioni. Anche su questo punto infatti la legge quadro e' esplicita: le prove finali, al termine dei corsi di formazione professionale, vanno svolte "di fronte a commissioni esaminatrici composte nei modi previsti da leggi regionali" (art. 14). La norma dell'art. 16 qui all'esame vio'la tali precisazioni, come ha riconosciuto anche questa ecc.ma Corte con la sentenza n. 190/1987 che ha dichiarato illegittimo l'art. 3, ottavo comma, del d.-l. 30 ottobre 1984, n. 726 (convertito nella legge 9 dicembre 1984, n. 863) "nella parte in cui non prevede che le competenti strutture regionali possano accertare il livello di formazione acquisito dai lavoratori". Le disposizioni degli artt. 15 e 16 qui censurate hanno carattere regolamentare, pongono cioe' delle norme volte a disciplinare anch'esse, in conformita' alla legge, la formazione professionale degli agenti di mediazione. Poiche' quest'ultima e' tuttavia materia di sicura competenza regionale, le uniche strade percorribili che lo Stato potrebbe imboccare potrebbero essere quelle di una legge che elevasse (si fa per dire) la disciplina dell'attuale decreto al rango di una legge di riforma. Ovvero, in alternativa alla legge, ad un atto di indirizzo e coordinamento, ai sensi dell'art. 3 della legge 22 luglio 1975, n. 382. Quello che e' certo, e' che il decreto ministeriale non e' fonte abilitata ad assoggettare le regioni a limitazioni siffatte.